Riassunto
Proviamo ora a stabilire un’analogia tra il vuoto visto come (un altro) stato possibile del mondo fisico e il silenzio inteso come stato possibile (o anche alterità) del linguaggio2; in questo caso il silenzio non è sinonimo di assenza o rinuncia, ma espressione inudibile e ineffabile del pensiero. Il pensiero germoglia nel silenzio, che Eielson vedeva come una specie di materia prima da cui scaturisce ogni forma di meditazione e di riflessione. Se, da un lato, il pensiero gli appariva come la “voce”, il “logos”, dall’altro, il silenzio era per lui inscindibilmente legato all’intuizione e all’immaginazione. In questo senso si può dire che esso porta in nuce tutte le qualità che potranno in seguito depositarsi nel pensiero, un po’ come le qualità di un seme possono condurre, se le condizioni sono propizie per il germoglio, alla maturità del frutto. Viene in mente ciò che ha scritto Octavio Paz: “Ho cominciato a scrivere, operazione tra le più silenziose, per oppormi al rumore delle dispute e battaglie del nostro secolo. Ho scritto e continuo a scrivere perché concepisco la letteratura come un dialogo con il mondo, con il lettore e me stesso — e questo dialogo è tutto il contrario del rumore che implica la nostra negazione e del silenzio che ci ignora.
Deus é o silêncio do universo, e o homem é o grito que dá um sentido a esse silêncio. José Saramago
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References
J. Saramago, Cadernos de Lanzarote, Caminho, Lisboa, 1994–1998. Secondo il teologo Juan José Tamayo “questa definizione si accosta più a un mistico che a un ateo”. Per Tamayo, Saramago “condivide con Nietzsche la parabola di Zarathustra e l’apologo del folle sulla morte di Dio e potrebbe forse sottoscrivere due delle affermazioni nietzschiane più provocatorie: ‘Dio è la nostra più lunga menzogna’ e ‘Meglio nessun Dio! Meglio che ciascuno si faccia da solo il proprio cammino’. È probabile che coincida anche con Ernst Bloch in ‘Il meglio della religione è che crea eretici’ e in’ solo un ateo può essere un buon cristiano, solo un cristiano può essere un buon ateo’.” (J.J. Tamayo, “Il Dio di Saramago, silenzio dell’universo”, La Stampa, 19 giugno 2010).
Su questo tema vi è un’affinità significativa tra la visione di Eielson e l’opera di Beckett (autore che Eielson sentiva molto vicino). Osserva opportunamente Alfonso D’Aquino che “entrambi pongono la propria opera, e in generale l’esperienza artistica, fuori da quello che Beckett chiama il ‘campo del possibile’. A partire dalla negazione della scrittura,’ senza il simulacro del linguaggio’, la comprensione della poesia si sposta verso la visibilità, l’udibilità o meglio verso il silenzio. In ambedue gli autori questo spostamento fuori dai limiti della letteratura si manifesta come una volontaria povertà di mezzi, che si rivela da un lato come artificio del semplice e dall’altro come ‘necessità’ (la scrittura, secondo Beckett, come ‘un atto espressivo, sebbene lo sia solo di se stesso, della propria impossibilità, della propria necessità’), con la quale arriviamo, partendo dall’obbedienza, alla naturalezza, cioè ‘non la scrittura su qualcosa, ma quel qualcosa’, come accade in molta della poesia di Eielson o nel processo di disintegrazione consapevolmente intrapreso da Beckett. La kenosis, cioè lo svuotamento che portano a termine e che li conduce al silenzio, permette loro di costruire non solo la, ma anche dentro la negazione, e allo stesso tempo di passare da una forma artistica a un’altra, una volta disfatte le parole, in un silenzio nel quale tutto si esprime. Quanto alla ‘necessità’, il vincolo con la scrittura appare assimilato in Eielson a un tessuto più profondo di quello delle parole. Ci riferiamo al linguaggio dei nodi, al quipu peruviano: il tessuto dell’illusione trasfigurato nel tessuto della significazione.” (A. D’Aquino, “La scrittura vuota”, in: Jorge Eielson — Il linguaggio magico dei nodi, Mazzotta, Milano, 1993).
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J.E. Eielson, “Vedere evocare cantare Roma”, dialogo con M. Canfield, in: J.E. Eielson, Di stanza a Roma, Ponte Sisto, Roma, 2007.
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“Conversazioni con Jorge Eielson, in: J.E. Eielson, Poesia scritta, a cura di M. Canfield, Le Lettere, Firenze, 1993.
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J.E. Eielson, La scala infinita, Lorenzelli Arte, Milano, 1998.
Su questo importante aspetto delle ricerche sul vivente, rimandiamo il lettore alle riflessioni svolte da René Thom in Paraboles et catastrophes, Flammarion, Paris, 1980, in particolare nel capitolo IV.
F. Jacob, Le jeu des possibles. Essai sur la diversité du vivant, Fayard, Paris, 1981. Si veda in particolare il capitolo II.
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Boi, L. (2012). Il vuoto e il silenzio: Sul bordo del dicibile. In: Pensare l’impossibile. I Blu — Pagine di Scienza. Springer, Milano. https://doi.org/10.1007/978-88-470-1673-6_6
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