Introduzione

È noto da più di un secolo che sia le patologie ipotalamiche che il loro trattamento chirurgico o radioterapico possono determinare la comparsa di obesità [1]. Lesioni occupanti spazio, come il craniofaringioma o altri tumori e aneurismi, malattie infiammatorie e infiltrative e traumi sono le condizioni più frequentemente responsabili di danno all’ipotalamo [2]. Oltre alle alterazioni strutturali, una serie di sindromi genetiche comportano disfunzione ipotalamica e obesità anche severa a comparsa dall’infanzia, come quelle legate a deficit del recettore della melanocortina-4 (MC4R), la sindrome di Prader-Willi o di Bardel-Biedl, i deficit di leptina o le mutazioni a carico del recettore della leptina, dei geni POMC e CART [3].

L’ipotalamo ha un ruolo fondamentale nella regolazione del bilancio energetico, tramite l’integrazione dei segnali provenienti da altre aree cerebrali e dalla periferia e la modulazione dell’attività dell’ipofisi anteriore e delle vie autonomiche discendenti, così bilanciando l’assunzione di calorie, la spesa energetica e l’entità della massa grassa corporea [3]. Pertanto, sebbene la maggior parte delle patologie ipotalamiche siano rare (l’incidenza del craniofaringioma è 0,5–2 casi per milione di persone/anno) l’incremento ponderale fino alla obesità severa è assai frequente in questi pazienti [4].

In questa rassegna ci focalizzeremo sulle malattie ipotalamiche, in cui non solo la malattia di per sé, ma anche il suo trattamento, in particolare quello chirurgico, può determinare incremento ponderale, talora anche marcato. Saranno approfonditi i temi elencati di seguito con particolare attenzione alle possibilità terapeutiche e, precisamente: 1) la rilevanza del problema; 2) i meccanismi responsabili dell’incremento ponderale; 3) le implicazioni cliniche; e 4) l’approccio terapeutico.

Rilevanza del problema

In seguito all’escissione soprasellare di voluminose lesioni ipotalamiche (usualmente craniofaringiomi, meno frequentemente macroadenomi ipofisari con estensione soprasellare, gliomi, meningiomi, teratomi, tumori delle cellule germinali) o in conseguenza di traumi, interventi chirurgici, patologie infiltrative o infiammatorie, alcuni pazienti vanno incontro a un incremento ponderale anche marcato [3]. Tuttavia, l’eccesso ponderale è spesso già presente al momento della diagnosi prima del trattamento. Una recente metanalisi che analizza 36 studi per un totale di 1225 pazienti con craniofaringioma di età compresa tra i 2 e i 57 anni riporta una prevalenza di obesità pari al 54,4% [5].

Dopo l’intervento neurochirurgico, è stato descritto un ulteriore incremento ponderale [4, 6]. La prevalenza dell’obesità post-chirurgia ipotalamica è variabile tra i vari studi: da 41 a 77% (a seconda della radicalità dell’intervento [7], 58% [8], 62% [9], fino al 68% a seconda dell’età di insorgenza [10]. Le differenze tra gli studi possono dipendere dall’eterogeneità nella definizione di obesità, ma anche dalle diverse caratteristiche dei soggetti studiati, in particolare l’età, nonché dalla diversa tecnica chirurgica impiegata e radicalità dell’intervento. Infatti, tra i fattori che sono stati messi in correlazione con lo sviluppo di obesità dopo il trattamento chirurgico per il craniofaringioma vi sono una minore età al momento della diagnosi, la presenza di una qualunque endocrinopatia, sintomi iniziali di ipertensione endocranica, maggiori valori di body mass index (BMI) al momento della diagnosi, predisposizione familiare per l’obesità e l’entità del coinvolgimento ipotalamico [4]. Le dimensioni del tumore [8, 9], la dose e durata del trattamento perioperatorio con desametasone [11] non sembrano avere un ruolo sull’incremento ponderale a lungo termine, mentre molteplici interventi chirurgici, la chirurgia pterionale e l’irradiazione ipotalamica con dosi >51 Gy si associano alla comparsa di obesità [4, 8].

Sebbene l’obesità sia più frequente nei bambini, poiché essi presentano con maggiore frequenza tumori localizzati nella fossa posteriore, anche negli adulti può verificarsi un marcato incremento ponderale dopo il trattamento del craniofaringioma [9].

Meccanismi responsabili dell’incremento ponderale

L’ipotalamo contiene gruppi di cellule nervose organizzate in nuclei con funzioni importanti relativamente al metabolismo energetico e alla sincronizzazione delle attività circadiane. Il tessuto adiposo è innervato da fibre simpatiche, che controllano la lipolisi, e fibre parasimpatiche, che controllano la lipogenesi, entrambe ad origine da neuroni del sistema simpatico e parasimpatico presenti nel nucleo periventricolare e soprachiasmatico [12]. La regolazione dei meccanismi di fame/sazietà è estremamente complessa e al di fuori degli obiettivi di questa rassegna. In sintesi, le patologie ipotalamiche e/o il loro trattamento chirurgico o radiante possono danneggiare i nuclei dell’ipotalamo mediale, incrementando la sensazione di fame per mezzo dell’attivazione di stimoli orexigenici provenienti dall’ipotalamo laterale e/o per difettosa risposta da parte dell’ipotalamo mediale ai segnali di adiposità, quali la leptina e la proopiomelanocortina [13,14,15]. È verosimile che in seguito all’intervento di neurochirurgia si verifichi una sofferenza delle strutture soprasellari con danno al nucleo soprachiasmatico e alterata regolazione dei meccanismi di controllo circadiani predisponenti ad alterazioni del metabolismo [4]. Vi è una diretta correlazione tra l’entità del danno ipotalamico e l’incremento ponderale [4]. Da ciò risulta chiara l’importanza di utilizzare tecniche chirurgiche che preservino il più possibile l’integrità ipotalamica.

Il danno ipotalamico determinerebbe l’inabilità di trasdurre i segnali ormonali afferenti di adiposità, simulando a livello del sistema nervoso centrale uno stato di starvation [14]. Comportamenti come iperfagia e ricerca ossessiva di cibo sono stati descritti dopo il trattamento chirurgico del craniofaringioma (Fig. 1) [1]. Sono stati riportati elevati livelli di leptina in pazienti con estensione soprasellare del tumore [16], per cui è stata ipotizzata una mancata fisiologica inibizione dell’appetito a causa dell’alterazione del circuito di feedback negativo mediato dalla leptina con leptino-resistenza. Tuttavia, spesso si osserva obesità in assenza di iperfagia e il possibile ruolo della leptina non è al momento stato dimostrato [1, 4].

Fig. 1
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Meccanismi implicati nell’aumento ponderale nei pazienti con lesioni ipotalamiche

Il danno a carico dell’ipotalamo mediale può alterare la regolazione del sistema nervoso autonomico [14]. Si riduce l’attività del sistema simpatico, con conseguente riduzione della spesa energetica, mentre aumenta l’attività vagale [17]. La disinibizione vagale comporta incremento della secrezione insulinica con incremento dell’adipogenesi [14]. La frequente astenia (anche in assenza di ipopituitarismo) e l’aumentata sonnolenza diurna legata all’alterata regolazione ipotalamica dei ritmi circadiani della melatonina potrebbero concorre insieme con la ridotta capacità visiva alla riduzione dell’esercizio di questi pazienti [1, 4]. Inoltre, è stata descritta una ridotta soppressione post-prandiale sia della ghrelina che dell’\(\alpha \)-melanocortina dopo danno ipotalamico da craniofaringioma [18]. Infine, vi sono sempre maggiori evidenze a supporto del fatto che una condizione infiammatoria a carico dell’ipotalamo, quale quella determinata sia dalle patologie ipotalamiche che dal loro trattamento, potrebbe contribuire alla comparsa di obesità [2].

Implicazioni cliniche

Tra le sequele post-chirurgia ipotalamica si annoverano: disturbi oculari (alterazioni del visus, atrofia papillare, disturbi campimetrici), alterazioni neuropsicologiche (labilità emotiva, comportamenti sessuali abnormi, attacchi d’ira, deficit della memoria e delle capacità intellettive), deficit dell’attività ipotalamo-ipofisaria, disturbi del sonno e della termoregolazione e, naturalmente, la comparsa o l’aggravamento dell’eccesso ponderale [4]. Il frequente sviluppo dell’obesità ipotalamica ha un andamento clinico distinto rispetto all’obesità primaria: usualmente si verifica un rapido incremento ponderale nei primi sei mesi, seguito da stabilizzazione e successivo mantenimento del peso per periodi prolungati, pari anche a dieci anni [8]. La fase di rapido aumento di peso può essere erroneamente interpretata come un effetto collaterale della terapia con glicocorticoidi; la riduzione della dose di mantenimento dell’idrocortisone non ha alcun effetto sul peso, mentre può aggravare l’astenia e il malessere del paziente [14]. La successiva lunga fase di stabilità ponderale, verosimilmente caratterizzata da un basso dispendio energetico, suggerisce il raggiungimento di un nuovo set-point ponderale e giustifica l’insuccesso dell’intervento basato solo sullo stile di vita frequentemente descritto nei pazienti affetti da obesità ipotalamica [13].

Questi soggetti presentano un rischio incrementato di sviluppare la sindrome metabolica con adiposità preferenzialmente localizzata in sede addominale [19], nonché la steatosi epatica non alcolica [19] e l’apnea ostruttiva notturna [14], nonostante la giovane età. Non stupisce, pertanto, l’incrementato rischio di malattie cardiovascolari e di mortalità descritto nei pazienti operati per craniofaringioma quando confrontati con la popolazione generale [20]. In particolare, dati recenti da uno studio di popolazione svedese documentano un rilevante aumento del rischio di sviluppare diabete mellito e malattie cerebrovascolari anche mortali [21].

Approccio terapeutico

Dato il rapido e caratteristico incremento ponderale che si verifica nei primi sei mesi dopo il danno ipotalamico, è importante agire precocemente, in modo da evitare l’eccessivo accumulo di peso corporeo, poi difficile da far regredire. Il trattamento dell’obesità ipotalamica comprende: 1) gli interventi sullo stile di vita; 2) la supplementazione ormonale per trattare i deficit ipofisari (per cui si rimanda a trattazioni specifiche [15, 22]); 3) la terapia farmacologica per antagonizzare gli specifici meccanismi che determinano l’obesità ipotalamica; 4) la terapia farmacologica per la cura dell’obesità; e 5) la chirurgia bariatrica, come illustrato nella Tabella 1.

Tabella 1 Trattamenti per la cura dell’obesità ipotalamica

Un’importante considerazione, a monte del trattamento dell’obesità ipotalamica, è relativa ovviamente alla sua prevenzione. La scelta del tipo di intervento chirurgico è fondamentale in questo senso e deve essere valutata attentamente in maniera individuale per ogni singolo paziente. Le strategie per ridurre il volume della lesione prima della chirurgia potrebbero permettere un minore danno ai nuclei ipotalamici e, pertanto, un minore rischio successivo di incremento ponderale [4, 22, 23]. In modo similare, l’approccio da parte di un team multidisciplinare e il riferimento a centri con grande esperienza potrebbero contribuire a ridurre in modo considerevole il rischio di obesità post-neurochirurgia.

Intervento sullo stile di vita

È indispensabile svolgere un adeguato counseling dei pazienti e delle loro famiglie rispetto alla possibilità di incremento ponderale post-chirurgico per ridurne almeno in parte il rischio [22]. Non esistono indicazioni specifiche in merito alla dieta o all’esercizio migliore per questi pazienti. Il calcolo dei fabbisogni calorici e dei nutrienti va eseguito sulla base della stima del dispendio energetico, tenendo conto del livello di esercizio e attività fisica [22]. In generale, data la frequente ricerca di alimenti “gratificanti” ad alto tenore energetico, diventa importante inserire nello schema alimentare cibi sazianti, ricchi di acqua e di fibre e, dunque, poveri di calorie. La restrizione dei carboidrati si è dimostrata solo sporadicamente efficace [13]. Parimenti, le raccomandazioni relative all’esercizio vanno individualizzate considerando eventuali difficoltà visive, debolezza degli arti, astenia, la riduzione del movimento anche protratto secondaria all’intervento con il conseguente decondizionamento muscolare [22]. In qualche caso, il trattamento della sonnolenza e dei disturbi del sonno (apnea ostruttiva notturna, narcolessia) e di quelli della termoregolazione (per cui si rimanda a specifiche rassegne [22]), ha permesso di ottenere maggiore collaborazione nello svolgimento dell’attività fisica. Tuttavia, in generale la risposta alle modificazioni dello stile di vita è deludente e bisogna ricorrere alla terapia farmacologica [23].

Terapia farmacologica per antagonizzare gli specifici meccanismi che determinano l’obesità ipotalamica

Uno dei meccanismi implicati nel rapido incremento ponderale post-neurochirurgia è l’incremento della secrezione insulinica dovuta ad attivazione vagale. Per questo scopo è stato utilizzato l’octreotide, un agonista della somatostatina che limita il rilascio di insulina per mezzo di inibizione dei canali del calcio voltaggio-dipendenti delle beta-cellule pancreatiche [13]. Si è osservato un modesto effetto sul calo o la stabilizzazione del peso corporeo in età pediatrica [24]. L’utilizzo combinato di diazossido (che riduce la secrezione insulinica) e metformina (che migliora la sensibilità insulinica) è risultato efficace sul calo ponderale in un piccolo numero di pazienti ma ha determinato numerosi effetti collaterali [25].

Altro approccio utilizzato è stato quello di incrementare il tono simpatico tramite l’utilizzo di derivati anfetaminici che hanno permesso di ottenere stabilizzazione del peso e riduzione dell’ipersonnia ma in piccoli numeri di individui [23]. Il metilfenidato è stato utilizzato per ridurre l’intake calorico, per mezzo dell’aumento dell’attività del sistema dopaminergico implicato nei meccanismi di reward così riducendo la richiesta di cibo, soprattutto di grassi [26]. Inoltre, questa sostanza sembra determinare anche un aumento dell’attività del sistema locomotore, almeno negli studi sull’animale, e quindi potrebbe essere utile anche per contrastare l’ipoattività fisica dei pazienti con obesità ipotalamica [13]. Tuttavia, sono disponibili ad oggi troppi pochi dati per poter confermare il reale beneficio dei farmaci con effetto stimolante centrale nel trattamento di questa patologia. Altri approcci per incrementare il tono simpatico e/o la spesa energetica, come l’utilizzo di tri-iodotironina, sibutramina, caffeina/efedrina sono risultati inefficaci o pericolosi [13]. Infine, dato che la secrezione di ossitocina può essere alterata in conseguenza del danno alle strutture ipotalamiche anteriori, la sua somministrazione combinata con il naltrexone per via endonasale è stata impiegata con beneficio su peso e iperfagia, ma in un caso singolo [27].

Trattamenti innovativi, come l’uso di leptina ricombinante o la terapia target nei pazienti con craniofaringioma papillare e mutazione del gene BRAF, sembrano promettenti ma necessitano di ulteriori conferme scientifiche [22].

Terapia farmacologica per la cura dell’obesità

Gli agonisti del recettore dell’incretina glucagon-like peptide-1 (GLP-1), oltre a potenziare il rilascio di insulina glucosio-dipendente e a sopprimere la secrezione di glucagone, determinano rallentamento dello svuotamento gastrico e, tramite legame a specifici recettori cerebrali e ipotalamici (nuclei arcuato e dorsomediale), inducono sazietà [2]. Alcuni autori ne hanno sperimentato l’utilizzo anche nell’obesità secondaria a neoplasia ipotalamica [28,29,30]. Sono stati studiati un numero piccolo di pazienti, trattati sostanzialmente con exenatide [26,27,28]. Il calo di peso ottenuto è stato rilevante e compreso tra 10 e 29 kg [28,29,30]. Mancano tuttavia dati sul lungo termine e, soprattutto, esistono solo sporadiche segnalazioni relative al beneficio della liraglutide [30, 31], il GLP-1 agonista specificamente utilizzato per la cura dell’obesità primaria.

Chirurgia bariatrica

In generale, con le raccomandazioni relative allo stile di vita e la terapia farmacologica difficilmente si riesce a ottenere un calo ponderale superiore al 10% del peso corporeo iniziale. Vi sono studi che documentano il beneficio della chirurgia bariatrica, riportando un calo ponderale significativo. Sono state utilizzate diverse tecniche, quali la sleeve gastrectomy (SG), il bypass gastrico Roux-en Y (RYGB) e il bendaggio gastrico regolabile laparoscopico (LAGB) [32]. Sono stati descritti effetti favorevoli anche sull’iperfagia [33]. Tuttavia, due recenti metanalisi giungono alla conclusione che le procedure bariatriche non sono così efficaci come nell’obesità primaria [33, 34]; si verifica recupero ponderale un anno dopo SG e LAGB, mentre i benefici del RYGB sembrano più duraturi [34].

L’esperienza con la chirurgia bariatrica in questi pazienti è limitata; in particolare, vanno considerati i maggiori rischi chirurgici e post-chirurgici di questi pazienti, nonché il rischio di deficit nutrizionali che può essere particolarmente rilevante per l’età evolutiva e, infine, i possibili problemi legati al difettoso assorbimento di farmaci indispensabili, quali le terapie ormonali sostitutive [33]. Alcuni autori esprimono preoccupazione in merito al fatto che il bypass gastrico, andando a ridurre la secrezione di ghrelina, possa concorrere al rischio di osteomalacia, avendo tale incretina un ruolo nell’osteogenesi mediata dalla stimolazione degli osteoblasti [32]. Infine, il trattamento con procedure invasive e non reversibili è tuttora controverso in età pediatrica per considerazioni non solo di ordine medico, ma anche etico e legale [23].

La vagotomia truncale selettiva è una proceduta che sembra promettente ma non presenta attualmente adeguate evidenze scientifiche [13, 23].

Conclusioni

Ad oggi, nessun trattamento per l’obesità ipotalamica si è dimostrato realmente efficace nei trial randomizzati e controllati. Gli studi disponibili hanno mediamente una bassa numerosità e/o sono di breve durata. C’è urgente bisogno di nuovi studi di buona qualità metodologica e multicentrici con l’obiettivo di sperimentare nuovi approcci più efficaci e sicuri degli attuali disponibili.